quattro cose che ho imparato dalla cucina crudista
28 Settembre 2017La storia della patata dolce di Calimera fatta di donne, carbone e tanta bontà
3 Ottobre 2017Solo a pensarci mi viene mal di schiena, mal di braccia e mal di testa: lavare grandi quantità di panni senza utilizzare la lavatrice. Anche se per me, donna e madre del XXI secolo mi sembra una cosa umanamente impossibile, in realtà le nonne delle mie nonne non avevano altra scelta che utilizzare il loro metodo della tradizione popolare salentina fatto di due strumenti principali: un limbone di creta detto cofanu e “lu ceneraturu”.
Il cofano non era altro che un recipiente in terracotta, di forma tronco-conica rovesciata, con un piccolo buco sul fondo inizialmente chiuso ermeticamente con un tappo di sughero, al cui interno si mettevano i panni sporchi da lavare ancora asciutte ( prettamente capi di biancheria e di cotone). Una volta riempito il limbone, nella bocca veniva sistemato il ceneraturu, composto da un panno doppio contente la cenere del camino. Una volta sistemato il tutto si versava sopra il ceneraturu l’acqua calda che, passando attraverso la cenere, ne estraeva il potassio, disinfettante naturale contenuto appunto nella cenere, andando a finire nel bucato sottostante.
Passate 24 ore da quest’operazione, si stappava il tappo per far defluire l’acqua chiamata “lisciva”, per poi sciacquare il bucato e finalmente stenderlo al sole. Ora, penserete, quest’acqua veniva buttata vero? Invece no, perchè trattandosi di “acqua disinfettata” veniva usata per lavarsi i capelli e gli indumenti colorati.
Tutto il processo, quindi, durava intere giornate tra l’approviggionamento dell’acqua ( non esisteva l’acquedotto), accensione del fuoco per farla bollire, aspettare che la cenere si raffreddasse e l’effettivo lavaggio del bucato. Per i vestiti quotidiani, invece, il metodo della tradizione popolare salentina, era un pò più veloce: acqua, sapone e “stricaturu”
Se chiudo gli occhi e immagino tutto quello che vi ho appena raccontato, una sola parola mi torna in mente, “AMMIRAZIONE” : ammiro la forza nelle braccia delle mie antenate, ammirazione per la loro dedizione alla famiglia, ammirazione per la loro capacità di sfruttare al massimo tutte le materie prime a loro disposizone ma, soprattutto, immensa ammirazione perchè la loro infaticabile operosità le permettavano di fare il bucato, cucinare, lavorare nei campi, crescere i figli e sopportare il marito, tutto contemporaneamente.